Area Finanza - Finanzadimpresa

Impresa Certificata F-GAS
CAT. I - Reg. UE 2015/2067
FER Elettriche, Termoidraulica
Impresa Abiitata DM 37/08
Vai ai contenuti

Area Finanza

Aree d'Intervento

La finanza è la disciplina che studia processi con cui individui, imprese, enti, organizzazioni, e stati gestiscono i flussi monetari (raccolta, allocazione e usi) nel tempo.

Essendo definita l'economia come "la scienza che studia le modalità di allocazione di risorse limitate tra usi alternativi, al fine di massimizzare la propria soddisfazione", la finanza, analogamente, è "quella scienza che studia le modalità di allocazione del denaro tra usi alternativi, al fine di massimizzare la propria soddisfazione".

Si distingue tra:
- finanza personale, che concerne i debiti e crediti che fanno capo agli individui;
- finanza aziendale che si occupa della ricerca e dell'impiego delle risorse finanziarie da parte delle imprese;
- finanza pubblica, riguardante le tematiche della ricerca e dell'impiego di risorse finanziarie da parte della pubblica amministrazione, rappresentata dai processi con cui enti pubblici e stati gestiscono i flussi monetari (raccolta, allocazione e usi) nel tempo;
- finanza internazionale che tocca il tema dei flussi di denaro scambiati tra paesi.

La Finanza, in generale, si occupa degli strumenti finanziari attraverso i quali avvengono gli scambi di flussi di denaro tra individui, imprese e Stati, oltre che dei mercati sui quali tali strumenti finanziari vengono negoziati.

Esiste un dibattito di etica della finanza, legato all'ipotesi che la finanza sia un gioco a somma zero (capace quindi solo di spostare denaro fra soggetti economici), o un gioco a somma positiva (in grado di creare ricchezza per alcuni di questi); in altri termini, se possa creare una "torta" più grande, o solo cambiare la dimensione relativa delle diverse "fette" dei vari attori dello scenario finanziario.

Quando si parla di finanza d’impresa, spesso ci si riferisce ad operazioni di indebitamento a sostegno di investimenti a breve, medio o lungo termine.

Nei libri di finanza il debito è utilizzato come leva per accrescere la profittabilità delle imprese qualora sia positivo lo spread fra tassi attivi e passivi, ovvero fra redditività dell'attivo netto (misura della redditività dell'investimento produttivo) e oneri finanziari.

In dottrina il rapporto Debiti/Equity dovrebbe attestarsi al massimo pari a 1, pena la perdita di fatto dell'autonomia economica e gestionale per i diritti vantati da terzi sull'impresa.

È prassi nel mercato valutare con rating favorevole aziende con debiti pari a 4-5 volte il capitale proprio, talvolta best-in-class nel loro settore.

I crediti che le banche o altre imprese ritengono inesigibili devono essere cancellati dall'attivo di bilancio: ciò da un lato riduce gli utili che emergono dal bilancio, ma evita anche di pagare tasse su entrate mancanti.

Il rapporto sofferenze/impieghi, ovvero fra crediti ritenuti inesigibili e prestiti totali concessi, è un indicatore di solvibilità patrimoniale fondamentale per la comunità finanziaria (rating).

Talora più del 50% dei crediti inesigibili viene ceduto pro-soluto (ovvero definitivamente) a società autorizzate (factoring).

Nella ricostruzione dei flussi monetari (differenza tra tutte le entrate e le uscite monetarie) di una azienda/progetto nell'arco del periodo di analisi, quando il flusso è positivo (incremento) si definisce cash inflow, quando è negativo (decremento) si definisce cash outflow.

Il cash flow rappresenta una misura dell'autofinanziamento aziendale e può essere calcolato a partire dal conto economico dell'impresa.

Nell'analisi dei flussi di cassa (a breve termine) il working capital assume un ruolo centrale in quanto la sua variazione (definita nella terminologia finanziaria Variazione nel Capitale Circolante) determina l'assorbimento o il rilascio di risorse finanziarie.

Il controllo della dinamica del Working Capital è un elemento critico del governo della crescita d'azienda: le società in fase di sviluppo spesso vanno incontro alla bancarotta proprio a causa dell'eccessiva dimensione del working capital rispetto alle proprie capacità di finanziamento.

Questo indicatore è utilizzato allo scopo di verificare l'equilibrio finanziario dell'impresa nel breve termine e consiste nella "differenza algebrica tra attività correnti e passività correnti".

Il Working Capital tecnicamente è formato da una serie di macro voci dello Stato patrimoniale di una azienda tra cui le principali sono:

Attivo Corrente
1. Crediti verso clienti (al lordo di eventuali voci scontate in banca ed anticipi factoring)
2. Magazzino prodotti finiti, in lavorazione e materie prime
3. Anticipi a Fornitori

Passivo Corrente
1. Debiti verso fornitori
2. Debiti verso dipendenti e lavoratori terzi (per salari da corrispondere ecc.) ad esclusione del TFR
3. Debiti tributari di natura ricorrente (IVA, INPS, ecc.)

L'ammontare complessivo degli investimenti in essere in un dato momento (attivo circolante + attivo immobilizzato) determina il fabbisogno finanziario dell'azienda.


Le attività e cioè gli investimenti o impieghi dell'azienda, si distinguono in circolanti e immobilizzati, a seconda della loro attitudine a trasformarsi in liquidità, direttamente o indirettamente, entro un breve o lungo periodo di tempo:
- le attività circolanti sono rappresentate dal complesso degli investimenti che permangono nell'azienda per un breve arco di tempo, in quanto, essendo destinati ad un rapido impiego produttivo o ad essere prontamente venduti e/o riscossi, ritornano in forma monetaria in tempi brevi, comunque non superiori all'anno.
- le attività immobilizzate (o fisse) rappresentano investimenti di durata pluriennale in immobilizzazioni tecniche, materiali e immateriali, e immobilizzazioni finanziarie, che si prevede resteranno vincolati all'azienda per lungo tempo, generando flussi monetari in entrata in un periodo di tempo superiore all'anno.
- le immobilizzazioni tecniche riguardano impieghi in fattori produttivi che costituiscono la struttura operativa dell'impresa; si distinguono in materiali ed immateriali in relazione alla presenza o meno per le stesse del requisito della materialità. Esempi di immobilizzazioni materiali sono : magazzini, macchine, terreni. Esempi di immobilizzazioni immateriali sono: marchi, brevetti, avviamento, concessioni, licenze.
- le immobilizzazioni finanziarie riguardano impieghi durevoli a carattere finanziario, quali i crediti di finanziamento a medio e lungo termine, le partecipazioni di controllo e di collegamento. Esempi: partecipazioni in aziende controllate o collegate, crediti pluriennali nei confronti di altre aziende, obbligazioni.

Le passività ed il capitale netto rappresentano le fonti del capitale investito. Indicano, cioè, da chi (proprietario o terzi) e in che misura è stato fornito il capitale necessario per finanziare le Attività.

Il totale delle passività, che insieme al capitale netto costituiscono le "fonti" necessarie al finanziamento degli "impieghi", corrisponde ai debiti contratti dall'azienda con i terzi e, dunque, rappresentano i diritti che questi ultimi vantano nei confronti dell'azienda.

Come le attività, anche le passività sono distinte in base alla loro scadenza (esigibilità) in passività a breve termine e passività a medio-lungo termine:
- le passività a breve scadenza sorgono in relazione a prestiti che l'azienda ottiene per finanziare gli investimenti dell'attivo circolante e rappresentano impegni da soddisfare in un periodo inferiore ad un anno. Ne sono esempi i debiti verso banche e fornitori, quote a breve termine di crediti a medio lungo termine, imposte a breve termine, cambiali passive commerciali.
- le passività a media-lunga scadenza soddisfano il fabbisogno collegato agli investimenti in immobilizzazioni ed implicano un impegno al rimborso ed alla remunerazione del capitale mutuato per un periodo di tempo protratto, superiore all'anno. Esempi: prestiti obbligazionari, mutui passivi, fondi per imposte a lungo termine, TFR.

Contabilmente, il capitale netto è pari alla differenza tra le attività e le passività patrimoniali.

A parità di tutte le altre condizioni, il patrimonio netto aumenta in presenza di utili non distribuiti, mentre diminuisce in conseguenza di perdite.

ORIZZONTE TEMPORALE E RISCHIO

In ambito finanziario “l’orizzonte temporale” (arco di tempo nel quale si valuta la bontà di un investimento) assieme al capitale e al rischio è una delle tre variabili che vanno assolutamente considerate.
Non esiste un orizzonte temporale breve o lungo in senso assoluto, ma va relativizzato e contestualizzato.
In ambito di investimento azionario ad esempio il breve periodo è sicuramente un periodo inferiore ad 1-3 mesi, il medio periodo un orizzonte compreso tra i 3 e i 12 mesi, sopra l'anno si parla di lungo periodo (chiaramente per un investitore che si propone investimenti mordi e fuggi secondo una logica di speculazione, anche pochi giorni possono essere considerati un orizzonte temporale lungo).
Generalmente il lungo periodo è un arco di tempo in cui si può compiere un intero ciclo economico.
Più è lungo l'orizzonte temporale di un investimento e più, a parità di condizioni, aumenta il rischio: logica conseguenza è che un investimento di lungo periodo dovrebbe essere più remunerativo di un investimento a breve, non fosse altro che per un discorso di liquidità del capitale nel corso del tempo.
Nella gestione progetti il rischio è un aspetto fondamentale ed inevitabile: la parola stessa "progetto" (derivata da proiettare verso il futuro idee od azioni) implica che non tutte le situazioni/eventi sono certi e che rimane un'incertezza che puo' generare eventi ed effetti anche dirompenti sugli obiettivi di progetto.
Il rischio viene analizzato, classificato, indirizzato e monitorato secondo diverse metodologie e strumenti di ricerca (es. analisi cause-effetti).
Nel contesto del commercio, spesso la "ricerca e sviluppo" si riferisce normalmente ad attività a lungo termine (orientate al futuro), limitando la ricerca scientifica in un apparente disinteresse per i profitti (con un evidente danno indiretto sulla possibilità di permanenza dell’impresa nel tempo sul mercato).
Da qui l’importanza dell’outsourcing: la possibilità di delegare funzioni manageriali a consulenti esterni (ved. art. “Un Nuovo Modello di Sviluppo”).

IL BUSINESS PLAN

Un business plan (o piano di business, o progetto d'impresa) è una rappresentazione degli obiettivi e del modello di business di un'attività d'impresa.

Viene utilizzato sia per la pianificazione e gestione aziendale che per la comunicazione esterna, in particolare verso potenziali finanziatori o investitori.

Un business plan si compone di almeno tre parti fondamentali: una prima parte introduttiva in cui si presenta l'idea imprenditoriale e l'imprenditore stesso con le sue principali qualità; una seconda parte tecnico/operativa in cui si deve fornire un quadro chiaro di cosa si vuole fare, come e dove si vuole farlo; una terza parte in cui verranno inserite le previsioni economico/finanziarie.

Lo strumento può anche diventare rapidamente obsoleto, ma ha un altissimo valore se fatto e se usato correttamente.

In pratica è una sorta di vademecum dell'azienda o della business idea e deve essere verificato costantemente.

Il business plan viene riconosciuto dalla maggior parte delle banche di investimento ed è uno strumento che, se redatto da persone competenti, contiene ricerche di mercato aggiornate.

Il modello di business è l'insieme delle soluzioni organizzative e strategiche attraverso le quali l'impresa acquisisce vantaggio competitivo: fornisce le linee guida con cui si converte l’innovazione in acquisizione di valore (profitto).

Creare valore passa attraverso una buona trasmissione del valore stesso: "se ho un buon prodotto, ma non lo so vendere, è come se non lo avessi!"

Il modello di business è uno dei principali strumenti a disposizione del management per interpretare e gestire in maniera vincente le dinamiche interne ed esterne all’azienda.

Torna ai contenuti